CESSIONE IN BLOCCO EX ART. 58 TUB: L’AVVISO DI CESSIONE IN GAZZETTA UFFICIALE E LA PROVA DELLA TITOLARITÀ DEL CREDITO IN CAPO ALLA CESSIONARIA.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 21891 del 20/07/2023

In caso di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell’art. 58 TUB, è sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano d’individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione, sicché, ove i crediti ceduti sono individuati, oltre che per titolo (capitale, interessi, spese, danni, etc.), in base all’origine entro una certa data ed alla possibilità di qualificare i relativi rapporti come sofferenze in conformità alle istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia, il giudice di merito ha il dovere di verificare se, avuto riguardo alla natura del credito, alla data di origine dello stesso e alle altre caratteristiche del rapporto, quali emergono delle prove raccolte in giudizio, la pretesa azionata rientri tra quelle trasferite alla cessionaria o sia al contrario annoverabile tra i crediti esclusi dalla cessione

Questo è il principio espresso dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 21891/2023.

La questione è scaturita dall’istanza di fallimento di una società, proposta dal creditore cessionario, il quale agiva per il recupero di un credito oggetto di cessione nell’ambito di un’operazione di cartolarizzazione realizzata ai sensi dell’art. 58 TUB e relativo al mancato pagamento di uno scoperto di conto corrente ordinario.

La debitrice ha proposto reclamo avverso la sentenza di fallimento, eccependo, tra gli altri motivi, il difetto di legittimazione attiva della creditrice istante.

Il Tribunale, tuttavia, ha confermato la sentenza impugnata, ritenendo provata la titolarità del credito da parte della cessionaria sulla base di una dichiarazione ad hoc della cedente con cui si dava atto del fatto che, tra i crediti ceduti nell’operazione di cessione in blocco del 18/7/2018 intercorsa tra la banca cedente e creditore cessionario, vi rientrava anche il credito oggetto di causa.

La Corte d’Appello, al contrario, ha accolto il reclamo e ha, per l’effetto, revocato il fallimento della debitrice, poiché ha ritenuto che la dichiarazione ad hoc della cedente non fosse sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario.

Nel caso in esame, il cessionario ha altresì prodotto in atti la copia della G.U. contenente la pubblicazione dell’avviso della cessione in questione, avente ad oggetto “tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni, indennizzi e quant’altro) derivanti da contratti di finanziamento, chirografari ed ipotecari, e sconfinamenti di conto corrente sorti nel periodo compreso tra 1982 e 2016, i cui debitori sono stati classificati “a sofferenza” ai sensi della Circolare della Banca d’Italia n. 272/2008 (matrice dei conti)”; tuttavia la Corte ha ritenuto comunque che ciò non fosse sufficiente ad attestare che proprio ed anche il credito dedotto in giudizio fosse ricompreso tra quelli oggetto della cessione.

Pertanto, né la dichiarazione ad hoc né la copia della G.U. sono stati ritenuti sufficienti, stante il fatto che la dichiarazione “è stata illimitatamente contestata dall’odierna reclamante, sin dal primo scritto difensivo successivo alla relativa produzione, circa l’asserita ed indimostrata riferibilità della stessa alla banca asserita cedente, dovendo a questo punto la resistente dimostrare che la stessa sia stata effettivamente redatta da un funzionario della banca cedente munito dei necessari poteri di firma, il che non è avvenuto”. Tutt’al più la stessa potrebbe essere oggetto di libero apprezzamento da parte del giudice.

In definitiva, ha osservato la Corte, che “l’elenco identificativo dei rapporti ceduti (c/sofferenza), pur menzionato nella dichiarazione de qua, ove la si ritenesse validamente proveniente dalla parte cedente, non risulta, in mancanza di ulteriori elementi gravi, precisi e concordanti, agevolmente ricollegabile alla posizione debitoria per cui si procede in questa sede, così come non risulta altrimenti accertato che il codice COPE indicato corrisponda effettivamente al codice identificativo dei rapporti bancari intercorsi tra la banca cedente e la reclamante”.

Ne consegue che sarebbe stata necessaria la produzione del contratto di cessione, nonché dell’elenco dei crediti ivi asseritamente ceduti, tra i quali dovrebbe rientrare anche quello in origine vantato dalla banca cedente.

Con distinti ricorsi, il Fallimento e la banca cessionaria hanno proposto impugnazione avverso la sentenza della Corte d’Appello.

La Suprema Corte, ribaltando la pronuncia di secondo grado, ha accolto i ricorsi del Fallimento e del Cessionario, statuendo che “in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell’art. 58 TUB, è, dunque, sufficiente a dimostrare la titolarità del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla gazzetta ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorché gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione”.

Nel caso di specie, “a fronte dell’avviso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, che indica gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie di crediti ceduti e consente la loro identificazione senza incertezze (vale a dire “… tutti i crediti (per capitale, interessi, anche di mora, accessori, spese, ulteriori danni, indennizzi e quant’altro) di BANCA CEDENTE derivanti da contratti di finanziamento, chirografari ed ipotecari, e sconfinamenti di conto corrente sorti nel periodo compreso tra 1982 e 2016, i cui debitori sono stati classificati “a sofferenza” ai sensi della Circolare della Banca d’Italia n. …”), la mancanza tra gli atti del giudizio di una specifica elencazione dei rapporti ceduti (e, prima ancora, del contratto di cessione) non esonerava la Corte d’Appello dal compito, appunto, di verificare, alla luce dei documenti prodotti in giudizio dalla ricorrente (come il contratto di conto corrente, stipulato nel 1994 tra la (Omissis) e la BANCA CEDENTE, il saldo debitore di tale conto corrente, pari, alla data del 12/4/2013, all’importo complessivo di Euro. 247.356,17, e la deduzione di tale credito in sede monitoria sin dal 2013 e il suo riconoscimento in un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo “regolarmente notificato, a mezzo posta, in data 25 ottobre/11 novembre 2013”), se, a fronte delle relative emergenze di fatto, il credito azionato dal CREDITORE CESSIONARIO era, in ragione del titolo e del tempo della sua origine (“tutti i crediti… derivanti da contratti di finanziamento, chirografari ed ipotecari, e sconfinamenti di conto corrente sorti nel periodo compreso tra 1982 e 2016” nonché (specie a fronte dell’insolvenza della debitrice ceduta accertata dal tribunale) della sua idoneità ad essere identificato “ai sensi della Circolare della Banca d’Italia n. (Omissis)” come “a sofferenza” (a prescindere, dunque, in fatto, da un’esplicita classificazione come tale ad opera della banca cedente e della mancata replica dell’istante alla contestazione sollevata sul punto dalla società resistente), compreso tra le pretese trasferite alla cessionaria o fosse, al contrario, annoverabile, sotto l’uno e/o l’altro profilo, tra i crediti esclusi dalla cessione (e, nel primo caso, se la cessione sia o meno opponibile alla società debitrice)”.

A cura di: Taisia Tini