FIDEIUSSIONI CONFORMI ALLO SCHEMA ABI: QUANDO IL PROVVEDIMENTO DI BANCA D’ITALIA n. 55/2005 NON COSTITUISCE PROVA PRIVILEGIATA

Le S.S.U.U., con la sent. del 30 dicembre 2021 n. 41994, hanno posto fine al dibattito giurisprudenziale sorto in ordine al rimedio, se caducatorio o risarcitorio, esperibile dal garante che abbia concesso una fideiussione omnibus, riproduttiva delle clausole nn. 2, 6, 8 dello schema predisposto dall’ABI, censurate con provvedimento n. 55/2005, all’esito all’indagine avviata dalla Banca d’Italia, al fine di verificare la compatibilità del suddetto schema con la disciplina antitrust.

La Suprema Corte ha concluso per la tesi della nullità parziale della clausola di reviviscenza (articolo 2 del modello ABI), della clausola di rinuncia al termine di decadenza previsto dall’articolo 1957 del codice civile (articolo 6 del modello ABI) e della clausola di sopravvivenza (articolo 8 del modello ABI) in quanto restrittive della concorrenza.

In particolare è stato enunciato il seguente principio di diritto: “I contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con la L. n. 287 del 1990, art. 2, comma 2, lett. a) e art. 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi dell’art. 2, comma 3, della Legge succitata e dell’art. 1419 c.c., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti”.

Ora, benché la Corte abbia chiarito che il contratto è colpito da invalidità parziale, altre sono le lacune non colmate sempre con riferimento al tema delle fideiussioni specifiche riproduttive delle clausole sanzionate. Diversi sono gli orientamenti giurisprudenziali in merito.

Non solo, un’altra questione periodicamente sottoposta all’attenzione del Giudicante è anche quella riguardante il valore probatorio del provvedimento emesso dalla Banca d’Italia nel 2005, con cui concludeva l’istruttoria circa la conformità dell’art. 2, comma 2 della L. 287/1990, delle condizioni generali di contratto per le fideiussioni a garanzia delle “operazioni bancarie”.

A tal proposito, la giurisprudenza ha fornito spunti interessanti per fare chiarezza ulteriore in una materia da poco “dipanata” nei suoi aspetti essenziali.

Difatti, diversi Tribunali, chiamati a pronunciarsi in merito alla validità o meno dei contratti di garanzia conformi al modello ABI censurato, hanno ritenuto che il provvedimento n. 55/2005 di Banca d’Italia assurge a prova privilegiata soltanto con riferimento alle fideiussioni omnibus stipulate nell’arco temporale che va dal 2002 al maggio del 2005, poiché risalenti al periodo oggetto di indagine da parte dell’autorità giudiziaria; è noto, infatti, che l’istruttoria ha coperto un arco temporale compreso tra il 2002 ed il maggio 2005.

Ne discende che coloro che abbiano concluso un contratto di garanzia un periodo diverso, non possono valersi della prova privilegiata costituita dalla delibera della Banca d’Italia per pervenire ad una dichiarazione di invalidità delle clausole di cui al contratto di fideiussione.

Così si è espresso il Tribunale delle Imprese di Napoli, con la sent. n. 5125/2022, il quale ha qualificato il contratto dedotto in giudizio alla stregua di una fideiussione specifica ed, al contempo, ha riscontrato la mancanza dei presupposti per pervenire ad una censura di invalidità delle clausole. A tal proposito, ha asserito che: “Gli odierni attori, quindi, avrebbero dovuto, in punto di allegazione fattuale e documentale, non affidarsi all’istruttoria della Banca d’Italia per avvalersi della sua particolare funzione probatoria, ma avrebbero dovuto introdurre un’autonoma fattispecie di comportamento anticoncorrenziale o compulsare un procedimento di public enforcement in tal senso, al fine di allegare autonomi fatti idonei a censurare l’esistenza sia di un’intesa anticoncorrenziale sia di una prassi contrattuale diffusa presso gli istituti di credito violatrice, per le modalità di applicazione uniformi, dell’articolo 2, comma 2, lett. a) della L. n. 287/1990, anche con riferimento agli schemi solitamente utilizzati per la stipulazione di fideiussioni ordinarie, d’accordo tra più istituti di credito e, dunque, in violazione delle regole del mercato e della concorrenza”.

Al contempo, una volta evidenziata la diversa funzione della fideiussione specifica da quella omnibus, ha statuito che la valutazione cui è pervenuta la Banca d’Italia ha ad oggetto le sole fideiussioni omnibus.

Il Giudicante ha concluso in tal modo “con riguardo alle fideiussioni specifiche, non è sufficiente l’allegazione di moduli contenenti le clausole censurate, predisposte da vari istituti di credito al fine della prova dell’illiceità dell’intesa “a monte”, in quanto la standardizzazione contrattuale non produce necessariamente effetti anticoncorrenziali, né costituisce elemento dirimente per accertare l’accordo illecito tra gli istituti di credito”.

Del medesimo avviso è il Tribunale di Milano, Sez. XIV, che, con la sent. n. 9050/2021, ha stabilito che “Nel caso di specie, tuttavia, la produzione in giudizio di quel provvedimento non costituisce prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza invocata a fondamento della dedotta invalidità dell’atto negoziale. La stipulazione della garanzia fideiussoria da parte dei signori fideiussori è infatti intervenuta a distanza di oltre dieci anni dal provvedimento citato e risale ad un periodo rispetto al quale nessuna indagine è stata svolta dall’autorità di vigilanza, la cui istruttoria ha coperto un arco temporale compreso tra il 2002 e il maggio del 2005. La presente causa non può pertanto inquadrarsi tra le c.d. follow on actions ma deve ricondursi piuttosto alle c.d. stand alone actions, nelle quali l’attore, chiamato a dar prova dei fatti costitutivi della domanda, non può giovarsi dell’accertamento dell’intesa illecita contenuto in un provvedimento dell’autorità amministrativa competente, che riguarda – come si è detto – un periodo diverso da quello in cui si colloca la specifica vicenda negoziale dedotta in giudizio. Né in senso contrario può richiamarsi l’ordinanza della Suprema Corte del 12 dicembre 2017 n. 29810, secondo la quale “in tema di accertamento del danno da condotte anticoncorrenziali ai sensi della L. n. 287 del 1990, art. 2 spetta il risarcimento per tutti i contratti che costituiscano applicazione di intese illecite, anche se conclusi in epoca anteriore all’accertamento della loro illiceità da parte dell’autorità indipendente preposta alla regolazione di quel mercato”, se è vero che quella pronuncia “affronta il peculiare tema della ricaduta degli effetti del provvedimento della Banca di Italia del 2 maggio 2005 sui contratti stipulati prima del maggio 2005” e che i richiami ad essa non risultano pertinenti laddove si discuta di contratti di fideiussione stipulati in epoca successiva”.

Sul punto si è altresì pronunciato il Tribunale delle Imprese di Milano (sent. del 19 gennaio 2022) il quale, sostenendo che il provvedimento n. 55/2005 non costituisce prova idonea dell’esistenza dell’intesa restrittiva della concorrenza con riferimento ai contratti di fideiussione (sia omnibus che specifica) conclusi in un periodo estraneo alle indagini, ha ritenuto che parte attrice fosse onerata dell’allegazione e della dimostrazione di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito; ha, infine, precisato che tale prova dovrebbe essere tale da dimostrare che, nell’anno di stipulazione delle fideiussioni oggetto di causa, “un numero significativo di istituti di credito operanti nel medesimo mercato, avrebbero coordinato la propria azione in modo da privare quella stessa clientela del diritto ad una scelta effettiva e non solo apparente tra prodotti alternativi e in reciproca concorrenza”.

A cura di: Taisia Tini