TUTELA DEL CONSUMATORE: LE SEZIONI UNITE SULLE CLAUSOLE CONTRATTUALI ABUSIVE ED IL RUOLO DEL GIUDICE DEL MONITORIO E DEL GIUDICE DELL’ESECUZIONE

Con la sentenza n. 9479/2023, le S.U. hanno affrontato il delicato tema della tutela del consumatore in caso di clausole abusive presenti in un contratto concluso con un professionista, alla luce delle quattro recenti pronunce della Corte di Giustizia (sentenza in C-600/19, Ibercaja Banco; sentenza in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza; sentenza in C-725/19, Impuls Leasing Romania; sentenza in C-869/19, Unicaja Banco); la questione, come si avrà modo di vedere, coinvolge oltremodo il tema del limite del giudicato.

Il caso scaturisce in seno ad una procedura esecutiva immobiliare intrapresa dal creditore sulla base di un decreto ingiuntivo, quest’ultimo emesso nei confronti di colei che si era costituita garante della Società debitrice principale.

A seguito della vendita forzata degli immobili, l’esecutata contestava il progetto di distribuzione, deducendo la nullità del titolo esecutivo, poiché emesso da giudice territorialmente incompetente, quest’ultimo adito sulla scorta di una clausola del contratto di fideiussione illegittimamente derogatrice del foro del consumatore.

Inoltre, lamentava l’omesso rilievo officioso del giudice del procedimento monitorio su detta clausola ritenuta abusiva. Pertanto, chiedeva al G.E. di farsi carico del controllo sull’abusività in questione.

Il progetto, tuttavia, veniva dichiarato esecutivo dal G.E.. Così, la debitrice, proponeva opposizione ex art. 617 c.p.c..

Il Giudice dell’opposizione, pur riconoscendo al fideiussore la qualità di consumatore ed individuando nell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. il rimedio per farla valere compatibilmente con la normativa europea, rigettava l’anzidetta opposizione per non aver la garante tempestivamente utilizzato detto strumento.

Da qui, la garante proponeva ricorso straordinario dinanzi la Cassazione ai sensi dell’art. 111, co. 7 Cost., lamentando “la violazione e/o errata interpretazione della direttiva 93/13 e dell’art. 19 del TUE, con riferimento al principio di effettività della tutela del consumatore, mettendo in discussione l’impossibilità, a fronte di decreto ingiuntivo non opposto, sia di un secondo controllo d’ufficio nella fase dell’esecuzione sulla abusività delle clausole contrattuali, sia di una successiva tutela, una volta spirato il termine per proporre opposizione nei confronti del decreto ingiuntivo”.

Prima dell’udienza di discussione, sebbene la ricorrente avesse rinunciato al ricorso, il P.M. sollecitava la Suprema Corte ad enunciare il principio di diritto nell’interesse della legge, tenuto conto della particolare rilevanza della questione, alla luce delle quattro sentenze coeve della Corte di Giustizia, e ciò al fine di ovviare alle gravi incertezze interpretative che ne conseguivano.

Investite della questione, le S.U. hanno posto l’attenzione su una delle quattro sentenze della Corte di Giustizia, ovvero quella in cause riunite C-693/19, SPV Project 1503, e C831/19, Banco di Desio e della Brianza, poiché pronunciata a seguito di rinvio pregiudiziale disposto da un giudice italiano su una questione analoga alla presente.

In quell’occasione, il Tribunale di Milano aveva richiesto alla Corte se il combinato disposto degli artt. 6 e 7 della direttiva 93/13/CEE (concernente le clausole abusive nei contratti stipulati da professionisti con i consumatori) mal si concilia con la normativa nazionale, la quale preclude al G.E. di effettuare un controllo successivo sull’abusività delle clausole, nel caso in cui il debitore non abbia proposto opposizione al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti e che, pertanto, risulta coperto da giudicato implicito.

Per rispondere all’interrogativo, la sentenza della CGUE partiva da alcune premesse, quali la posizione di inferiorità del consumatore, rispetto al professionista per ciò che riguarda il potere negoziale e il livello di informazione, nonché la natura imperativa dell’art. 6 della direttiva n. 93/13 nella parte in cui afferma che le clausole abusive non vincolano i consumatori.

Per inciso, si ricordi che la CGUE, con la sentenza dell’8 settembre 2022, cause riunite da C-80/21 a C-82/21, E.K. S.K., ha chiarito che “l’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva n. 93/13, e in particolare la sua seconda parte di frase, ha quale scopo non la dichiarazione di nullità di tutti i contratti contenenti clausole abusive, ma di sostituire all’equilibrio formale che il contratto determina tra i diritti e gli obblighi delle parti contraenti un equilibrio reale, finalizzato a ristabilire l’uguaglianza tra queste ultime, fermo restando che il contratto di cui trattasi deve, in via di principio, sussistere senza nessun’altra modifica se non quella risultante dalla soppressione delle clausole abusive. Sempreché quest’ultima condizione sia soddisfatta, il contratto in questione può, in forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva n. 93/13, essere mantenuto purché, conformemente alle norme di diritto interno, una simile sopravvivenza del contratto senza le clausole abusive sia giuridicamente possibile”.

Ne consegue che, in linea con la normativa consumeristica interna (art. 36, co 1 cod. cons.), la Corte ha propeso per la conservazione del contratto, laddove ciò sia giuridicamente possibile, con l’espunzione delle sole clausole ritenute abusive.

Tornando all’analisi della sent. SPV Project 1503 e Banco di Desio e della Brianza, la CGUE concludeva statuendo che “L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che ostano a una normativa nazionale la quale prevede che, qualora un decreto ingiuntivo emesso da un giudice su domanda di un creditore non sia stato oggetto di opposizione proposta dal debitore, il giudice dell’esecuzione non possa – per il motivo che l’autorità di cosa giudicata di tale decreto ingiuntivo copre implicitamente la validità delle clausole del contratto che ne è alla base, escludendo qualsiasi esame della loro validità – successivamente controllare l’eventuale carattere abusivo di tali clausole. La circostanza che, alla data in cui il decreto ingiuntivo è divenuto definitivo, il debitore ignorava di poter essere qualificato come “consumatore” ai sensi di tale direttiva è irrilevante a tale riguardo”.

A mente della CGUE, la necessità di ovviare allo squilibrio esistente fra consumatore e professionista, nonché la necessità di garantire un’effettività dei diritti spettanti al contraente più debole quale è il consumatore, impone al giudice nazionale di esaminare d’ufficio il carattere abusivo di una clausola contrattuale che ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 93/13, laddove disponga degli elementi di diritto e di fatto a tal riguardo necessari. Tale controllo, difatti, è inteso come strumento indispensabile per assicurare il rispetto dei diritti riconosciuti nella direttiva.

Ad ogni buon conto, come espresso dalla CGUE con la sent. dell’11 marzo 2020- Györgynè Lintner, il controllo officioso deve limitarsi alle sole clausole che siano connesse all’oggetto della controversia, così definito dalle parti alla luce delle loro conclusioni e dei loro motivi e, pertanto, alle sole che rilevano nel procedimento monitorio ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo.

La ratio che ha ispirato la Corte di Giustizia è quella di garantire un’effettività della tutela: non si ritiene sufficiente una statuizione a livello normativo quale è la non vincolatività delle clausole abusive per il consumatore (art.6), essendo invece necessaria l’individuazione di organo giudicante che faccia applicazione concreta di tal principio.

S’impone, in prima battuta, al giudice del monitorio di procedere a tale controllo e, laddove non disponga degli elementi di diritto e di fatto a tal riguardo necessari, è abilitato a sollecitare il ricorrente a produrre documentazione all’uopo pertinente.

Tuttavia, ove l’accertamento sulla vessatorietà imponga, per la sua complessità, un’istruzione probatoria non coerente con la configurazione del procedimento sommario (ad es., richiedendosi l’assunzione di testimonianze o l’espletamento di c.t.u.), il giudice dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione, che il ricorrente, se riterrà, potrà comunque riproporre (evidentemente sulla scorta di ulteriori e più congruenti elementi probanti), o, invece, affidarsi alla “via ordinaria” (art. 640, ultimo comma, c.p.c.).

Laddove, invece, un siffatto controllo sull’abusività delle clausole contrattuali non venga svolto ex officio dal giudice del monitorio, o meglio, laddove quest’ultimo nella motivazione non rilevi l’avvenuto espletamento di una specifica indagine al riguardo, è necessario che lo stesso venga effettuato in un momento successivo e, quindi, in sede di esecuzione forzata o di opposizione alla stessa, dal Giudice dell’Esecuzione.

Difatti, si richiede al giudice del monitorio di assolvere all’obbligo di motivazione funzionale a dare al consumatore l’informazione circa l’assolvimento del controllo officioso sulla presenza di clausole vessatorie. E ancora, “in quanto strumentale rispetto all’esercizio del diritto di difesa del consumatore nella fase processuale a contraddittorio pieno, una tale motivazione esige che nel decreto sia individuata, con chiarezza, la clausola del contratto (o le clausole) che abbia(no) incidenza sull’accoglimento, integrale o parziale, della domanda del creditore e che se ne escluda, quindi, il carattere vessatorio”, ben potendo esprimersi comunque in termini sintetici.

Così, l’intervento del G.E. si pone come rimedio all’inerzia/inattività del giudice del monitorio, a tutela della parte debole del rapporto contrattuale, ovvero il consumatore.

Inoltre, “L’art. 641, primo comma, c.p.c., inoltre, rende necessario che il decreto ingiuntivo contenga l’avvertimento che, nel termine di quaranta giorni, può essere fatta opposizione al decreto ingiuntivo “e che, in mancanza di opposizione, si procederà ad esecuzione forzata”. La disposizione, in parte qua, deve essere interpretata in senso conforme al diritto eurounitario di cui alla direttiva 93/13/CEE e, dunque, quell’avvertimento dovrà, altresì, rendere edotto il consumatore che, in assenza di opposizione, “decadrà dalla possibilità di far valere l’eventuale carattere abusivo” delle clausole del contratto (così la citata sentenza Ibercaja Banco)”.

Le S.U., con riguardo al giudicato, hanno precisato che “è proprio la carente attivazione del giudice del monitorio – mancato rilievo officioso e omessa motivazione, imposti da norma imperativa (art. 6, par. 1, della direttiva 93/13/CEE) – che comporta, secondo il diritto dell’Unione (nell’interpretazione vincolante della CGUE: cfr. anche sentenza Ibercaja Banco), che la decisione adottata, sebbene non fatta oggetto di opposizione, è comunque insuscettibile di dar luogo alla formazione, stabile e intangibile, di un giudicato, così da consentire anche nella contigua sede esecutiva, dove si procede per l’attuazione del diritto accertato, una riattivazione del contraddittorio impedito sulla questione pregiudiziale pretermessa (concernente, per l’appunto, l’assenza di vessatorietà delle clausole del contratto) e, quindi, di un meccanismo processuale (come si vedrà nel prosieguo) che possa rimettere in discussione anche l’accertamento sul bene della vita implicato dal decreto ingiuntivo, ossia il credito riconosciuto giudizialmente”.

Per ciò che concerne l’efficacia spiegata dalla pronuncia SPV Project 1503 e Banco di Desio e della Brianza, è necessario rinviare alla pronuncia della Corte Cost. del 22 dicembre 2022, n. 263, la quale ha statuito che gli effetti delle sentenze della Corte di Giustizia, in virtù del loro valore dichiarativo e non costitutivo, retroagiscono al momento dell’entrata in vigore della norma interpretata, con la conseguenza che tale pronuncia inciderà sulle sorti dei decreti ingiuntivi emessi anche prima del 17 maggio 2022.

Alla luce di quanto già esposto, la Suprema Corte, al fine di allinearsi ai principi enunciati a livello comunitario, ha ritenuto di dover poter fare applicazione della disciplina dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo ex art. 650 c.p.c., con gli adeguamenti che si ritengono necessari per poter meglio conformarsi al diritto unionale.

Tra i motivi che ha indotto la Corte a privilegiare la via dell’opposizione tardiva vi è il fatto che essa è esperibile non solo dopo, ma anche anteriormente all’inizio dell’esecuzione e, segnatamente, pure in momento antecedente alla stessa notificazione del precetto, così da evitare al consumatore di trovarsi nell’eventualità – non remota – di subire l’esecuzione e, quindi, il vincolo del pignoramento sui propri beni, ancor prima di poter dare ingresso ad un controllo sulla vessatorietà delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto; ma anche il fatto che, oltre ad essere attivabile entro uno spatium deliberandi di 40 giorni, consentirebbe al giudice di svolgere, in una sede di cognizione piena e nel pieno rispetto del principio del contraddittorio, quella delibazione integrale non effettuata in precedenza.

Infine, le S.U. hanno enunciato i seguenti principi di diritto:

Fase monitoria:

 Il giudice del monitorio:

  1. a) deve svolgere, d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;
  2. b) a tal fine procede in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili, ai sensi dell’art. 640 c.p.c., con il potere istruttorio d’ufficio, da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione:

 b.1.) potrà, quindi, chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;

b.2) ove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà rigettare l’istanza d’ingiunzione;

  1. c) all’esito del controllo:

c.1) se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;

c.2) se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria desse esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla anzidetta effettuata delibazione;

c.3) il decreto ingiuntivo conterrà l’avvertimento indicato dall’art. 641 c.p.c., nonché l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.

Fase esecutiva:

Il giudice dell’esecuzione:

  1. a) in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole, ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;
  2. b) ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
  3. c) dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo;
  4. d) fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 649 c.p.c., non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;

 (ulteriori evenienze)

  1. e) se il debitore ha proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiunto, il giudice adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c. e rimetterà la decisione al giudice di questa (translatio iudicii);
  2. f) se il debitore ha proposto un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice darà termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza ex art. 649 c.p.c. del debitore consumatore.

Fase di cognizione:

Il giudice dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.:

  1. a) una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere, ex art. 649 c.p.c., l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale;
  2. b) procederà, quindi, secondo le forme di rito.”

A cura di: Taisia Tini